Il Tai Ji Quan è un'arte marziale suprema, dalla quale molte discipline da combattimento e di terapia orientale hanno preso spunto. Questa affermazione è diventata ormai un assioma, e quindi nessuno può disconfermare tale concetto!
Resta però un'arte difficilissima da praticare, paradossalmente per via della sua "semplicità".
La mente umana è più a suo agio in uno schema, in un "sentiero" ben guidato, un po' come succede nelle discipline marziali sportive.
Il Tai Ji richiede invece un ritorno allo stato di ascolto senza "mente"; richiede un "lasciarsi andare" alla quale non si è abituati; richiede una presenza impeccabile, dove ogni millisecondo è vissuto realmente.
"Afferrare" ad esempio, non è solamente percepire la presa, ma percepire il cambio di posizione della mano dell'avversario, le sue dita che iniziano a chiudersi, i muscoli della sua mano che iniziano a stringere, il suo peso che inizia a spostarsi, ecc ecc.
A questo aggiungiamo la percezione del nostro braccio che viene stretto, le nostre articolazioni che iniziano a rilassarsi, la nostra colonna vertebrale potente verso l'alto che inizia ad ammortizzare la trazione, ecc ecc.
In un semplice "strattone" ci può essere, anzi c'è, una vita di percezione!
Nel Tai Ji il corpo viene lasciato libero di seguire il Cuore e l'Intenzione.
Non c'è Tai Ji in una mente troppo piena di pensieri, in un corpo troppo pieno di rigidità, in una vita troppo piena di cose futili che distolgono dal percepire l'essenza di ogni cosa.
Il Tai Ji inizia ad esprimersi quando ci si "affida" ad esso. Raggiunta questa consapevolezza, si inizia a parlare di comprensione ed interiorizzazione dell'arte suprema. Prima era solo apprendimento, di nomi, di movimenti, di "tecniche".
Iniziare a praticare questa disciplina è come tuffarsi nel cuore di un oceano con delle zavorre. Bisogna solo sganciare tutto e nuotare per arrivare in quella "isoletta interiore" che molti chiamano "consapevolezza" ma che pochi sono in grado di raggiungere realmente.
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